Il periodo in cui lo Spirito Santo si era fermato su Firenze
Riportiamo di seguito il testo della relazione svolta da Agostino Burberi, Presidente della Fondazione, nel corso dell’evento “Testimoni della fede nel Novecento 2: le figure del ven. card. Elia Dalla Costa; ven. don Giulio Facibeni; don Lorenzo Milani; don Divo Barsotti”, svoltosi a Firenze il 24 febbraio in occasione del Convegno “Mediterraneo frontiera di pace”.
Il 27 maggio del prossimo anno don Lorenzo Milani avrebbe compiuto 100 anni. Altri centenari cadono in questi anni per molti personaggi della chiesa Fiorentina. Tutti questi personaggi (Il Cardinale Elia Della Costa, Giorgio La Pira, Don Facibeni, Padre Balducci, Padre Turoldo e Don Milani) hanno lasciato il segno nella chiesa fiorentina e nella più ampia vicenda nazionale. I loro messaggi profetici, che anticiparono i tempi nostri, furono tutti fortemente osteggiati non solo dalle forze politiche e sociali conservatrici, ma anche dalla Chiesa ufficiale e in particolare dalla Curia romana, dal Sant’Uffizio guidato dal card. Ottaviani.
La forza di questi personaggi è stata quella di soffrire ma di non abbandonare la Chiesa. Non dimentichiamo che Giorgio La Pira, che oggi stanno beatificando, a quei tempi era considerato un visionario pericoloso, un comunistello di sacrestia. A noi piace ricordare quel fecondo periodo storico, noto anche come germinazione fiorentina, come il periodo in cui lo Spirito Santo si era fermato su Firenze.
Con la sua visita a Barbiana nel giugno del 2017, Papa Francesco ha riabilitato il nostro Priore con parole esaltanti. A noi suoi allievi è sembrato di toccare il cielo con un dito, dopo che da vivo la gerarchia lo aveva fatto tanto soffrire; abbiamo avvertito nelle parole del Santo Padre il modo attraverso cui la Chiesa rispondeva alla domanda che don Milani aveva rivolto a Florit. In quella lettera chiedeva di riconoscere la sua opera con queste parole: “… le porgo oggi una mano, vuol ereditare la mia umile opera? Vuole mietere dove io ho seminato? Vuol partecipare all’abbraccio affettuoso dei poveri che mi vogliono bene? […] che sono talmente buoni […] da essere capaci di perdonare […] ed accoglierla come uno di loro così come hanno accolto me […]”.
Papa Francesco indica don Lorenzo come prete da prendere a modello per la Chiesa universale.
Insieme alle Fondazioni ed alle Associazioni che hanno cercato di mantenere in vita i messaggi e le lezioni dei protagonisti di quell’eccezionale stagione culturale, religiosa e politica, stiamo ricostruendo i rapporti che intercorsero tra loro, recuperando lettere e documenti che si erano scambiati, raccogliendo testimonianze, con l’obiettivo non solo di offrire materiale utile per gli approfondimenti storiografici, ma per raccogliere e trasmettere l’attualità del loro pensiero profetico capace di dare attuali e coraggiose risposte al mondo contemporaneo.
Vorremmo riuscire a fare insieme uno sforzo per ripresentare quei valori alle future generazioni e progredire nella costruzione di un nuovo umanesimo capace di definire un rinnovamento profondo: nella Chiesa, nel mondo della scuola, nella giustizia sociale e nella costruzione della pace nel mondo.
Siamo oggi in un tempo critico: pandemia, guerra, grandi squilibri socio-economici, invadenza delle mafie, crisi della democrazia reale, sfiducia dei cittadini nelle istituzioni, perdita di efficacia dei contesti educativi tradizionali, senso di precarietà esistenziale, paura del futuro e del tuo prossimo. L’ascolto della voce di questi profeti ci rassicura: sappiamo di “essere nani”, ma che camminano sulle spalle dei giganti. Fiduciosi che sia possibile e quindi necessaria un’azione coordinata in questa direzione, perché ogni cittadino possa recuperare e valorizzare gli aspetti più belli e profondi, capaci di costruire la propria personalità in maniera autonoma, libera, critica ed orientata verso orizzonti di dialogo, di solidarietà ed amore.
Per la verità il nostro Papa Francesco non ci lascia orfani di riflessioni ed indicazioni, ma c’è bisogno che tutto ciò diventi patrimonio e fermento della Chiesa tutta. Spesso si ha l’impressione che sia lasciato solo, che sia fortemente contrastato, come lo erano i “profeti” della germinazione fiorentina. Lo stesso cammino sinodale rischia di essere compiuto senza porre mano ai compiti gravi e importanti che è chiamato ad assolvere. Da occasione straordinaria perché ogni fedele e ogni comunità mettano in discussione se stessi alla luce del messaggio evangelico e rinnovino il proprio linguaggio e la propria realtà, gran parte della Chiesa lo vive come fatto formale e marginale.
Mediterraneo frontiera di pace è il titolo degli incontri di questi giorni. Certo bisognerebbe aver la forza di superare le frontiere mentre in questi anni abbiamo visto costruire sempre più muri, più fili spinati a “difesa” di patrie, a tutela di egoismi particolaristici contrari a quell’idea di “terra-patria” che impone la consapevolezza che siamo “Fratelli tutti”, tutti “nella stessa barca”, tutti con la consapevolezza che ci salviamo insieme o insieme periamo.
Di fronte a tutto questo la lezione di don Lorenzo è inequivocabile, nella lettera ai cappellani militari ci diceva: “Se voi avete il diritto di dividere il mondo in italiani e stranieri allora vi dirò che, nel vostro senso, io non ho patria e reclamo il diritto di dividere il mondo in diseredati ed oppressi da un lato, privilegiati ed oppressori dall’altro. Gli uni son la mia patria, gli altri i miei stranieri”.
Nel nome di patrie e confini Putin ha scatenando una nuova guerra in Europa. La guerra non è mai necessaria ma sempre fallimento dell’essere umano che abdica al dialogo.
In un confronto con i direttori didattici promosso dalla Fioretta Mazzei, don Lorenzo diceva che per invogliare i ragazzi a prendere sul serio la scuola e la vita, lui faceva loro questo discorso: “senti ragazzo, la tua classe sociale, gli oppressi, gli infelici di tutto il mondo, dall’Algeria al Congo, da Barbiana, al monte Giovi, nell’officina, nei campi, i proletari di tutto il mondo, soffrono di questa data sofferenza che tu hai. Dedica tutta la tua vita a far sortire questa classe da questa situazione”.
È un’indicazione chiara se non altro per dare una risposta in termini di accoglienza e integrazione da fratelli al dramma degli immigrati che, abbandonati in condizioni disumane e senza riconoscimento della loro dignità e dei loro diritti, possono cercare nelle associazioni a delinquere e nella violenza un’illusoria forma di compensazione.
“I Care” è il motto più conosciuto della scuola di Barbiana. Un motto che in questi anni moltissime realtà (Associazioni, comunità parrocchiali, scolaresche, genitori…) hanno assunto come fondamento delle loro scelte di vita.
Poco prima di morire don Lorenzo rispondeva a Nadia, una studentessa napoletana che gli chiedeva in una lettera come fare a trovare Dio: “abbandona l’Università, raccogli intorno a te ragazzi che hanno abbandonato la scuola e portali alla cultura della terza media, quando avrai perso la testa, come l’ho persa io dietro a poche decine di creature, troverai Dio come un premio. Ti toccherà trovarlo per forza perché non si può far scuola senza una fede sicura”.
A un gruppo di insegnanti che gli chiedeva come faceva a fare una scuola così attraente, severa ed impegnativa e averla piena e quale fosse la didattica usata rispondeva: “Sbagliano la domanda, non dovrebbero preoccuparsi di come bisogna fare per far scuola, ma solo di come bisogna essere per poter far scuola – e proseguiva – bisogna ardere con il desiderio del riscatto degli ultimi”.
Il nostro Cardinale ha promosso un comitato diocesano su don Lorenzo Milani, di cui è coordinatore Monsignor Paccosi che ha riunito le varie organizzazioni della Diocesi che si rifanno a don Milani; questo comitato ha cominciato a muovere i primi passi. Tutto nell’ottica di fare sì che Barbiana rimanga luogo di preghiera, di studio, di richiamo alla coerenza tra gli ideali e l’agire quotidiano, luogo dove l’I care, che s’impone dalla porta della sua camera, ci richiama tutti ad essere corresponsabili delle sorti del mondo, ci richiami a schierarci dalla parte degli ultimi, ad essere operatori di pace.
La Fondazione don Lorenzo Milani, che accoglie a Barbiana scolaresche, gruppi religiosi e – come fenomeno recente – tante famiglie che accompagnano i loro figli a cogliere i valori di quell’esperienza e farne lievito per lo sviluppo di processi educativi profondi e condivisi, ha in corso di svolgimento, tra le tante iniziative, un corso di formazione online rivolto ad insegnanti e studenti e che ha l’obiettivo di redigere e sottoscrivere il “Patto di corresponsabilità verso il creato e verso gli ultimi”.
Tutte queste iniziative intendono dare senso e significato all’I Care: mi sta a cuore perché è mio, o meglio è nostro, è casa comune, siamo tutti nella stessa barca.
È necessario cambiare strada, lavorare insieme. Perché, come diceva lui: “Risolvere i problemi da soli è l’avarizia, risolverli insieme è la politica”.