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Intervista a Michele Gesualdi pubblicata nel libro La Preghiera Spezzata di Marcello Mancini e Giovanni Pallanti

23/03/2010

INTERVISTA A MICHELE GESUALDI PUBBLICATA NEL LIBRO LA PREGHIERA SPEZZATA  DI MARCELLO MANCINI E GIOVANNI PALLANTI  -Edizioni Libreria Editrice Fiorentina (LEF)-

 

DOMANDA 1

Lei ha conosciuto benissimo Don Lorenzo Milani. L’eredità del Priore di Barbiana lei l’ha fatta germogliare in tante iniziative e in alcuni libri  usciti dopo la  morte di Don Lorenzo. Ci vuol dire che Prete era il Priore di Barbiana? Aveva il senso della gerarchia e della fedeltà ai Vescovi e al Papa?

 

Per capire a fondo don Lorenzo, le sue scelte, le sue posizioni, le sue battaglie per gli ultimi, occorre sempre tenere presente che lui era un prete, un prete del Dio d’Abramo e ministro della chiesa di Pietro, che sostiene le sue scelte alla luce del Vangelo, che applicava senza alibi e compromessi. Chi applica e testimonia il Vangelo senza la prudenza del perbenismo che condiziona, normalmente è scomodo e scomodante, don Lorenzo Milani era uno di questi. Del resto la storia ci dice che la strada della Chiesa è piena di seminatori di bene non compresi dai contemporanei e che spesso finiscono esiliati, ammanettati o decapitati, salvo poi essere valorizzati dopo la morte.

Subito dopo la morte don Lorenzo ha corso il rischio di essere male interpretato e gettato sul versante del disubbidiente, del contestatore, dell’innovatore laico borghese. Ed è per evitare questo rischio che io sono stato tra coloro che si sono sentiti impegnati a farlo conoscere nella sua vera dimensione, facendolo parlare direttamente attraverso i suoi scritti inediti. Soprattutto le lettere, che abbiamo raccolto dopo la morte, hanno fatto conoscere aspetti autentici della sua figura di sacerdote. Sono lettere scritte a chi conosceva bene, ai ragazzi per dare e per ricevere, alla mamma per rassicurare e essere rassicurato, ai sacerdoti per aprire la sua anima d’uomo e di prete e per chiarire che lui amava la sua chiesa che non avrebbe mai abbandonato poichè  aveva più volte al giorno bisogno dei sacramenti e del perdono dei suoi peccati. So bene che spesso, don Lorenzo, è stato un caso abusato e che non di rado gli sono state affiancate tesi che lui non avrebbe mai potuto condividere. C’è ancora chi su di lui sdottora, straparla, e prende di volta in volta ciò che conviene alle proprie tesi, spesso tradendo il suo vero pensiero, sviando l’impeto che lo possedeva, oscurando il senso d’amore esclusivo per il mondo che aveva scelto; però ormai è evidente che siamo di fronte ad un autentico uomo di Dio, che ha saputo cogliere l’apertura più universale della chiesa e che da tanti è considerato un  grande  della chiesa degli anni ླྀ.

Don Lorenzo, prima a Calenzano, poi a Barbiana è uomo, prete e maestro che guarda al suo popolo, a tutto il suo popolo. Parla e ragiona con loro, affronta le ingiustizie, la mancanza di parola, la mancanza di case, di lavoro, di giustizia sociale ed economica,  parla con loro di fede e di vita eterna. E’ un uomo critico e positivo che ha il coraggio di schierarsi. Si schiera con gli ultimi, con chi soffre, con chi è emarginato, come scelta di liberazione degli oppressi, i loro problemi diventano i suoi e in questa scelta è prete fino in fondo ed in tonaca che non abbandonerà mai. Era un uomo attento ai fermenti nella chiesa; ma lui si poneva sempre come l’uomo  dei sacramenti, il prete coerente con il Vangelo e come tale senza mezzi termini l’uomo dei poveri, che si fa povero tra la gente per poter parlare di Dio, per salvare e per salvarsi l’anima. Il prete che con parole forti combatte le ingiustizie perchè prima ancora di offendere l’uomo offendono Dio e ne ritardano la sua venuta. Il Prete che fa scuola ai giovani del suo popolo per stabilire con loro il mezzo di comunicazione, per evangelizzare, per essere capito quando parla del suo Dio e affinchè si impadronissero della parola quale strumento che li avrebbe fatti eguali e messi in condizione di incidere su altri poveri per cambiare insieme un mondo ingiusto e sbagliato che Dio non avrebbe voluto. La sua figura e il suo modo di fare il prete aveva una forza dirompente contro il male che non lasciava mai indifferenti e che lo portava a condurre una vita lontano dal conformismo e tanto diversa dell’uomo moderno. Era sempre attento a non essere scambiato per un prete intellettuale che si porta nei salotti, nei convegni, per il quale era chic parlare e scrivere, viceversa rivendicava sempre il legame con l’ultimo del suo popolo come dono ricevuto col Sacramento dell’Ordine sacerdotale che lo aveva reso padre, madre, fratello e figlio degli ultimi. Il don Lorenzo da valorizzare è dunque il prete con cui la Chiesa è tornata, tra quei montanari di Barbiana, al suo ruolo originario. Per tanti è rassicurante sapere che in un’epoca in cui la Chiesa veniva immedesimata col potere, con i cattolici nel governo centrale e in quelli periferici, con le porte del lavoro che si aprivano facilmente alle raccomandazioni dei preti, abbia risuonato, da un esilio quale doveva essere Barbiana, la parola così alta e forte dell’altra chiesa. Quella della scelta preferenziale degli ultimi.  Oggi che don Lorenzo è meglio conosciuto anche grazie alla pubblicazione di scritti inediti, nessuno mette più  in dubbio l’attaccamento alla chiesa e la sua fedeltà alla gerarchia. Del resto su questo punto è sempre stato molto fermo fino al punto da rasentare il paradosso. Ad esempio si racconta che quando don Lorenzo ebbe la notizia del trasferimento a Barbiana era in marina a colare rena per costruire la casa ad una vedova di un suo  parrocchiano morto sul lavoro. Con lui c’era un vecchio comunista senza Dio, ma molto legato a don Lorenzo. Questo gli disse:  se io fossi in lei andrei dal vescovo e gli direi, tenga questo è il collare, lo metta al cane . E don Lorenzo gli rispose:  ma io sono un cane, un cane fedele alla mia chiesa e ubbidiente al mio vescovo . Prete ubbidiente alla sua chiesa e al suo vescovo, anche quando significava calpestare le sue posizioni. Lui si definiva il disubbidiente ubbidientissimo perchè quando arrivava qualche ordine dal suo vescovo ubbidiva subito e questo perchè aveva bisogno della chiesa, del perdono dei peccati e dei sacramenti che per lui prete valevano infinitamente di più di ogni altra sua posizione. Ciò non gli impediva di parlare chiaro al suo vescovo, ma non per contestarne la funzione, ma perchè avrebbe voluto un impegno diverso della sua chiesa verso i poveri e nella società. Anzi da ultimo, quando la morte lo sta per raggiungere tenta di coinvolgere il vescovo nella sua opera, gliela offre, gli scrive:  vuole mietere là dove io ho seminato, vuole partecipare all’abbraccio affettuoso dei poveri, vuole ereditare la mia umile opera?   Con L’Arcivescovo Florit non si intendevano facilmente, perchè erano uomini troppo diversi. Sembravano fatti apposta per non intendersi. D’altra parte non sempre per un vescovo è facile capire di aver trovato sulla sua strada un autentico gigante di fede e vero tesoro per la Chiesa fiorentina, probabilmente la difficoltà ad intendersi fece soffrire entrambi. Però don Lorenzo non sopportava da parte di nessuno che si strumentalizzasse questo rapporto con  il pettegolezzo intorno alla sua chiesa. Anzi guai a chi gliela toccava. La chiesa è come la mamma, diceva, e va amata e rispettata. Però avrebbe voluto che la chiesa, tutta la chiesa, guardasse ai poveri per mutare la società a loro favore e in tal senso avrebbe voluto che la chiesa ereditasse la sua opera. L’Arcivescovo Florit, probabilmente senza valutare la sofferenza che avrebbe provocato a don Lorenzo, gli scrisse pochi mesi prima che morisse parole che lo fecero soffrire enormemente. Scrisse tra l’altro:   Il fatto poi che sei rimasto per anni parroco di Barbiana, credo sia dipeso da questo: i tuoi superiori hanno creduto di non riconoscere in te la necessaria disposizione alla carità pastorale, ma piuttosto lo zelo fustigatore che ti fa apparire dominatore delle coscienze prima ancora che Padre . Per uno come don Lorenzo che aveva una paternità molto spiccata, non si potevano dire parole che lo ferissero di più. Penso però che l’Arcivescovo abbia corretto questa sua posizione dopo aver letto le lettere pubblicate postume. Il Cardinale infatti quando aveva già lasciato la diocesi di Firenze, per raggiungi limiti di età, si recò, in forma privata, alla tomba don Lorenzo. Era in tonaca insieme ad un altro prete, salirono fin lassù con una vecchia 127 verde. Era un giorno qualsiasi e per puro caso anch’io ero al camposanto. Lui non mi conosceva. Entrò nel cimitero, salutò con lo sguardo e un cenno della testa, poi si fermò a pregare di fronte alla tomba. Aveva in mano il libro delle lettere di don Lorenzo. Io ero qualche metro più in là di fronte alla tomba di nonna Giulia, quando sentii il cardinale bisbigliare al prete che lo accompagnava mentre leggeva una lettera:  Ma quanto mi avete male informato su questo prete .

DOMANDA 2

Don Milani è stato un sacerdote fedele, fino alla morte, al Vangelo e al Sacramento sacerdotale. Cosa significava per lui l’abito talare? Come mai don Milani non si è mai visto in filmati o in fotografie senza la talare e in abiti borghesi?

 

Per don Lorenzo la tonaca era il simbolo di una scelta definitiva al servizio del suo Dio. Questo doveva essere sempre ben visibile. Non si è mai fatto vedere dai ragazzi senza tonaca. Negli ultimi mesi faceva scuola da letto, e quando doveva alzarsi per andare in bagno, faceva uscire i ragazzi per mettersi la tonaca; non ha mai attraversato l’aula adiacente alla sua stanza senza la tonaca. La tonaca era il simbolo del servizio sacerdotale, dell’uomo nuovo dopo la conversione. Un simbolo che ha sempre tenuto ben incollato addosso. Spesso pensando al suo modo di essere mi viene fatto di accostarlo a Giacobbe che dopo aver lottato con l’Angelo una intera notte, vinse, ma ne uscì sciancato. Un segno che lo accompagnò tutta la vita. Don Lorenzo, dopo aver lottato anni per uscire dalle tenebre del benessere e dalla centralità del proprio io, che avevano caratterizzato i suoi antenati, vinse, pur segnato nella sua carne e nella sua solitudine.

La tonaca è il segno della sua appartenenza: direi appartenenza a Cristo, ma anche alla Chiesa. La portava con orgoglio. Voleva essere riconosciuto come un prete.

 

DOMANDA 3.

Don Milani sembra che dicesse:  la Chiesa mi dovrebbe fare monsignore  o qualcosa del genere: cosa significava per lui essere considerato e onorato dalla Chiesa come Sacerdote esemplare ?

 

Su questo lui scherzava, però sotto sotto c’era la sofferenza di chi temeva di apparire, di fronte al suo popolo di 40 anime, ai margini della chiesa o peggio ancora non voleva che agli occhi dei ragazzi il vescovo apparisse come quello che onora gli adulatori ed esilia chi testimonia il Vangelo tra gli ultimi. Di qui la battuta del  monsignore  come segno di condivisione del suo modo di essere prete.

 

DOMANDA 4.

Il Priore di Barbiana è considerato un maestro della disobbedienza, un fomentatore dei moti studenteschi del 1968. Qual è stato il ruolo del suo pensiero e dei suoi scritti in quella stagione politica passata alla storia come  la contestazione.

 

Ripeto, don Lorenzo era prima di tutto prete e poi maestro ed educatore, comunque il tutto sempre riconducibile alla sua figura di sacerdote  testimone di Cristo.

La stessa esaltazione della Parola – quella scritta con la lettera maiuscola – si lega al sacerdote: il prete è maestro perchè ha la parola che avvicina alla verità e ne insegna il possesso per giungere ad affermare la Parola divina. Per lui la scuola era concepita per eliminare le differenze e preparare il ragazzo ad un fine alto. Come l’operare per eliminare le cause che tengono i più deboli nella sofferenza e ai margini della società.

La contestazione studentesca del ྀ era lontana da questi valori come era lontana da ciò che don Lorenzo chiedeva agli studenti universitari.

Lascia l’università, fai scuola ai poveri e troverai Dio come premio, scriveva in una lettera ad una studentessa turbata dal proprio privilegio�

Don Lorenzo era già morto quando esplose la contestazione studentesca, ma ne aveva anticipato il suo punto di vista in  Lettera a una professoressa  quando afferma:  I signorini si vergognano così poco del loro privilegio che si mettono un berretto per farsi riconoscere -festa delle matricole-. Poi per un giorno intero recitano soli come  cani nel mezzo della strada . Sempre in Lettera a una professoressa dice:  fra gli studenti universitari i figli di papà sono lྒ,5%. I figli dei lavoratori dipendenti il 13,5%. Fra i laureati i figli di papà sono il  91,5%, i figli dei lavoratori lƎ,1%.  Se ne deduce che don Lorenzo probabilmente avrebbe considerato quella lotta studentesca più per migliorare un privilegio di pochi, che non estendere un diritto a tutti. Per lui poveri, emarginati, montanari, operai non erano solo parole, ma persone in carne ed ossa ed obiettivi per cui spendersi, dentro un preciso disegno di riscatto umano, per colmare i ritardi secolari presenti in una società da raddrizzare. In questa sua radicalità c’è un costante filo di collegamento col messaggio evangelico che vede l’incarnazione di Dio nell’uomo più umile e povero, esaltato dalle beatitudini del Nuovo Testamento. Tutto questo non è nemmeno lontanamente parente con ciò che mosse la contestazione studentesca.

 

DOMANDA 5.

La contestazione nella vulgata popolare sembra che sia nata dai figli dei poveri contro i figli dei ricchi che ostacolavano l’ingresso dei poveri nella classe dirigente italiana. Pier Paolo Pasolini smascherò questi giovani rivoluzionari sessantottini definendoli anche loro figli della borghesia in quanto facenti parti di famiglie potenti o ben inserite tra i ceti dirigenti. Don Milani  con i ragazzi di Barbiana scelse un’altra strada: diversa dalla semplice contestazione dei privilegi della borghesia. Ci vuol dire -in sintesi- qual era il suo progetto educativo e politico in senso alto e non partitico?

 

In parte ho già risposto. La scuola di Barbiana indicava al ragazzo sempre  obiettivi alti che traevano origine dal Vangelo, dalla dottrina sociale della chiesa e dalla Costituzione. Quella di Barbiana era una scuola fatta da un prete ma che sapeva valorizzare la laicità dell’insegnamento: i valori della Costituzione repubblicana apparivano agli occhi dei barbianesi elementi di grande novità con una forte carica innovativa tesa al riscatto delle persone più deboli.  L’affermazione:  Sortirne tutti insieme è la politica . E’ una sintesi molto efficace del valore della solidarietà che si dava a Barbiana, previsto dai primi articoli della Costituzione. In quella scuola si vede nella Costituzione non solo la legge fondamentale, ma punto di equilibrio sociale, capace di indicare soluzioni per la costruzione di una società nuova a diversa ed è proprio a quella società diversa che don Lorenzo guarda e indica ai suoi ragazzi. Di fronte al contadinello che per venire a scuola cade nell’acqua perchè non c’è un ponticello per attraversare il fosso, trasuda di indignazione e di rabbia e reagisce rivendicando il ponte per il  suo bambino , impugnando di fronte al sindaco la promessa della Costituzione che impegna la Repubblica a  rimuovere gli ostacoli economici e sociali che limitano di fatto l’eguaglianza di tutti i cittadini. Per lui non bastava un qualsiasi tipo di scuola, ma occorreva una scuola nuova, diversa, che fosse in grado di riscattare gli ultimi, di dare forza ai deboli e voce ai senza voce. Riconosce cioè alla scuola il nobile compito di formare alla politica, ovverosia la presa in carico dei problemi della vita e del suo cambiamento. Per Barbiana fare scuola è un impegno politico che supera gli schieramenti di partito, ma costruisce l’uomo giusto del domani e l’uomo va oltre, molto oltre, i confini degli schieramenti e qui si ritorna al suo essere prima di tutto sacerdote, che si sente impegnato nella teologia della promessa. La promessa del Dio del Patto che entra nella storia dell’uomo con la mediazione della chiesa e dei suoi sacramenti, per sconfiggere il male e le ingiustizie che minacciano costantemente l’umanità.

 

DOMANDA 6

Quali erano i rapporti di don Milani con il clero cattolico? Aveva della amicizie con altri preti? Chi erano questi preti?

 

Non erano molti i preti che salivano a Barbiana. Va però anche detto che anche don Lorenzo non andava mai in altre parrocchie. In una lettera a don Giacomo Stinghi spiegava il perchè. Scrive:  Grazie di avermi scritto. Ammiro molto i preti che vogliono bene ai colleghi. Io però non penso che sia un precetto. Il precetto è: andate e predicate. […] Per andare a predicare bisogna allontanarsi il più possibile l’uno dall’altro e fregarcene dei reciproci dispiaceri . Quando don Lorenzo andava a Firenze, quasi ogni settimana, per far visita alla mamma normalmente faceva una capatina da don Bensi per confessarsi. La stessa cosa faceva con i preti di Vicchio quando scendeva in paese sempre per telefonare alla mamma. Poi non andava mai alle riunioni dei preti del vicariato che si svolgevano periodicamente, per non lasciare la scuola e il popolo.

Saliva, invece, spesso a Barbiana don Cesare Mazzoni parroco di Santa Lucia nel Comune di Dicomano. Talvolta venivano a trovarlo don Bruno Borghi e don Ermenegildo Corsinovi da Vicchio. Era poi molto legato a don Bruno Brandani, a don Renzo Rossi e ai sacerdoti dell’Opera Madonnina del Grappa, anche se li vedeva di rado.

In una lettera al Vescovo di Camerino, Mons. D’Avack, che gli fece la prefazione a Esperienze pastorali, si vanta che la serie di recensioni al libro fosse stata aperta dal Focolare il giornalino dell’Opera diretta da don Giulio Facibeni che spesso don Lorenzo definiva santo.

 

DOMANDA 7

Il priore di Barbiana era membro di una famiglia di grandi intellettuali, di proprietari terrieri, aveva fatto il liceo classico al Berchet di Milano, aveva frequentato l’Accademia di Belle Arti di Brera: come fece psicologicamente, culturalmente a diventare un  maestro dei poveri?

 

Ogni conversione è mistero di Dio. Ed è bene non esplorare quei misteri perchè è difficile, se non impossibile trovare il giusto bandolo della matassa.

Questo vale anche per don Lorenzo. Sappiamo pochissimo di ciò che lo spinse a cambiare vita perchè lui, che con noi parlava a lungo di tutto, non parlava quasi mai dei suoi venti anni che considerava trascorsi  nelle tenebre dell’errore, con cattiva educazione e tare ereditarie . Veniva da lontano, da un mondo completamente estraneo alla fede, certamente formato ad una scuola che gli aveva dato strumenti critici, sul piano filologico di grande qualità. Però se è vero che ci rimane sconosciuto e misterioso il suo rovesciamento di vita è altrettanto vero che don Lorenzo imparò a fare il prete amando molto e tenendo gli occhi sempre ben sgranati su quanto gli avveniva intorno, il mondo operaio e contadino lo affascinò subito per i suoi valori, per le sue ricchezze nascoste, ma lo impressionò anche per la sua povertà di linguaggio, di preparazione e di incidenza nella vita reale, e questo ha operato in lui una conversione continua. E’ osservando la realtà che intuisce che le ingiustizie sociali erano di ostacolo alla evangelizzazione e alla crescita civile del suo popolo. Barbiana lo cambia ulteriormente e lo fa diverso anche dal cappellano di San Donato.

Su quei monti trovò il concentrato di ingiustizie che teneva quella gente in condizioni disumane e dimenticati dalla società. Un impatto che gli dette occhi e orecchie nuovi che gli permisero di vedere chiaro la sua strada di combattente di Dio e di ascoltare il silenzio secolare dei montanari per farlo divenire urlo alto e forte.

 

DOMANDA 8

Quali furono i rapporti tra la scuola di Barbiana e le autorità scolastiche di quel tempo?

 

Il primo vero impatto con la scuola pubblica l’abbiamo avuto dopo la riforma del ེ che elevò l’obbligo scolastico a 14 anni e unificò le tre scuole secondarie: le medie, l’avviamento industriale e quello commerciale. A seguito di quella riforma anche a Vicchio arrivò la scuola d’obbligo post elementare. Il primo anno ci fu una strage di bocciati. Erano tutti figli di famiglie disagiate. Iniziò allora la processione dei genitori vicchiesi che venivano a chiedere a don Lorenzo se prendeva i loro figli alla sua scuola.

Attraverso questi ragazzi abbiamo cominciato a conoscere la scuola di Stato, i suoi programmi, i ragazzi che respingeva. Una scuola molto diversa dalla nostra. La scuola di Barbiana era una scuola a tempo pieno, severa, esigente dove non era ammesso perder tempo, dove i programmi erano modellati per affrontare il cammino nella vita e dove non si perdeva mai nessun ragazzo. La scuola si fermava quando uno restava indietro e non ripartiva fino a quando il ragazzo non raggiungeva gli altri. Il confronto tra queste due scuole e culture fece nascere  Lettera a una professoressa . Un libro che rappresenta una frustata nella carne viva di una scuola che mantiene ancora oggi gran parte dei difetti del passato.

 

DOMANDA 9

Quali furono i rapporti tra i Cardinali Elia Dalla Costa ed Ermenegildo Florit, Arcivescovi di Firenze, e Don Milani?

 

Del Cardinale Florit ho già parlato, aggiungo solo che fu lui a tenere don Lorenzo parroco di Barbiana, però, chi lo strappò al suo popolo per inviarlo in quell’esilio fu il Cardinale Elia Della Costa. Ciononostante non si riscontrano mai negli scritti di don Lorenzo ombre di risentimento nei confronti del vecchio Cardinale, anzi mostrò in più occasioni grande rispetto e stima. Nei giorni del Conclave, durante il quale fu eletto Papa Giovanni XXIII, apparve sui giornali una foto con un primo piano di Roncalli e Elia Della Costa che si parlavano nelle orecchie, don Lorenzo fece ritagliare la foto e l’attaccò al muro in cucina con questo commento verbale  si stanno dicendo: fallo tu il Papa, no fallo tu . Quella foto ancora oggi è dove la mise il priore.

 

DOMANDA 10

 

Un anno dopo la morte di Don Milani a Firenze esplose la questione dell’Isolotto. In quella parrocchia, il parroco don Enzo Mazzi  e la comunità che gli stava intorno contestarono la Chiesa, nelle persone del Vescovo di Firenze e del Papa, a nome di una Chiesa schierata dalla parte degli ultimi e dei poveri. Secondo lei ci sono state delle differenze di metodo e di pastorale parrocchiale tra il priore di Barbiana e quel parroco dell’Isolotto?

 

Don Lorenzo non è accostabile alla contestazione dell’Isolotto. Lui non ha mai disobbedito nè ha mai contestato la funzione del Vescovo. Per lui il Vescovo era l’episcopo, l’ispettore con la funzione di controllare che nessuno andasse fuori dai binari della Chiesa. Don Lorenzo si definisce un fanatico dell’osservanza delle regole, e questo non gli impedisce di essere un innovatore nella Chiesa e nella società.

Scriverà a questo proposito il 5.5.ཽ ad un seminarista:  io ero un fanatico della osservanza delle regole come lo sono stato poi da prete fino ad oggi, e spero lo sarò fino in fondo in maniera ineccepibile. E’ proprio questo che mi tira addosso tanto odio impotente da parte di quelli che non avendo seri argomenti da oppormi, sperano  invano di potermi cogliere in flagrante disobbedienza o deviazione dottrinale. Io spero che Dio mi aiuti, come m’ha aiutato fino ad oggi a non dar loro mai questa soddisfazione. Questo è il prezzo che bisogna pagare se si vuole influire dal profondo nella società e nella Chiesa.

Mi pare una figura di prete ben diversa e ben più robusta nel pensiero e nel metodo pastorale rispetto ad altre esperienze e che fanno di lui un autentico testimone della Chiesa del suo tempo e oggi che abbiamo visto cosa è successo in questi 40 anni si può dire anche di quella del futuro. In ogni modo don Lorenzo è morto nel 1967: prima del ྀ, e talvolta mi vien fatto di pensare che questo non sia senza significato e poi il mondo che aveva scelto era diverso, era quello dei montanari: e i montanari sono veramente gli ultimi degli ultimi. La Chiesa fiorentina in questi 40 anni, a più riprese, ha allargato le braccia e stretto a sè don Lorenzo e la sua opera. Lo ha fatto l’Arcivescovo Piovanelli in numerosi  interventi pubblici e ultimamente il Cardinale Antonelli con l’omelia svolta durante la messa che ha celebrato a Barbiana in occasione del 40mo anniversario della morte. Noi speriamo che prima o poi la Chiesa cancelli anche formalmente il provvedimento con cui ritirò  Esperienze pastorali  dal commercio perchè ritenuto inopportuna la lettura per i cattolici. La Chiesa che nella sua saggezza ha trovato il modo e la forma per annullare la condanna ben più pesante degli scritti di don Rosmini, vuoi che non trovi la strada anche per rimuovere il provvedimento, molto, ma molto meno pesante, di  Esperienze pastorali?  La Fondazione lo ha chiesto nel 2007, anche se, nei fatti, il provvedimento può essere considerato già decaduto poichè il libro è letto tranquillamente da tutti, senza nessun richiamo, e la stessa  Civiltà Cattolica , che scrisse la più cattiva e tagliente recensione, ultimamente ha scritto un articolo con il quale ribalta il giudizio di 40 anni prima, riabilitando apertamente il libro e l’opera di don Lorenzo.

 

Michele Gesualdi

 

Gennaio 2009