mercoledì, Aprile 24, 2024

Santo Scolaro

Il Santo Scolaro

L’unico maestro al mondo che ha messo lo scolaro sull’altare

Dal libro “La Parola fa eguali

Come è nato . Nel 1961 don Lorenzo accompagnò i primi 6 ragazzi della sua scuola in Germania.

Era la prima volta che si recavano all’estero.

A Stoccarda e a Monaco visitarono musei, chiese, fabbriche e scuole. In una scuola di Monaco, si insegnava a fare mosaici di vetro: veniva messo un disegno sotto una lastra di vetro bianco e sopra si incollavano con una colla trasparente piccoli pezzi di vetro corrispondenti al colore del disegno fino a realizzare tutta la figura.

Un’arte povera e semplice, ma dai risultati sorprendenti.

Tornati a Barbiana, ogni ragazzo decorò qualche finestra di casa sua, poi fu deciso di decorare tutte le finestre della chiesa e della sacrestia con immagini sacre.

Scriverà alla mamma il 29 luglio 1961:

“Abbiamo imparato in Germania un sistema economico per fare le vetrate artistiche e ne abbiamo fatte due per la nostra chiesa, la terza, cioè la principale della facciata è ancora in progettazione”.

Ma il lavoro più appassionante fu la decorazione della vetrata di una nicchia che si trova su uno dei due altari laterali della piccola chiesa di Barbiana.

In quella nicchia c’era la statua del Sacro Cuore di Gesù ad altezza d’uomo.

Quella statua a Michele aveva sempre messo un po’ di soggezione, quasi di paura, quando, talvolta, la sera entrava in chiesa per controllare il lumino ad olio dell’altare centrale, ma non aveva mai detto nulla a nessuno. Colse però l’occasione della vetrata per dire a don Lorenzo: “Perché al posto di quel Sacro Cuore non ci facciamo un bell’angelo, giovane, allegro e sorridente?”

Don Lorenzo lo guardò compiaciuto poi disse:”Non un angelo, ma ci faremo un monaco scolaro”.

La sera stessa Michele incollò dei fogli di carta da pacchi della grandezza della vetrata che chiudeva la nicchia. Su quel grande foglio don Lorenzo disegnò e dipinse con cura il monachello scolaro.

Il giorno dopo un ragazzo, con un vecchio sacco militare a spalla, andò in una vetreria di Firenze e lo riempì di scarti di vetro di ogni colore.

Prima di iniziare i lavori furono divisi i vetri in mucchiettini in base al colore, poi fu sistemato su un tavolo il disegno e sopra fermata la lastra di vetro trasparente.

Il lavoro iniziò dal basso verso l’alto e, normalmente, si lavorava sull’ora di pranzo e la sera dopo l’orario di scuola.

Don Lorenzo osservava l’avanzamento dei lavori e interveniva sull’accostamento dei colori e nei particolari più difficili.

Un giorno vide che i ragazzi facevano i fiori del prato precisi, tondi, quasi petalo per petalo; “Non così – disse – nell’opera d’arte si guarda all’essenziale, i fiori si fanno con un colpo di spatola” e fece il suo fiore accostando due o tre vetri. Così su quel prato sono rimasti i fiori degli allievi, curati, precisi, e quelli del maestro tipo macchia di colore.

Nel primo disegno il monachello leggeva il libro a viso scoperto. Era un viso sereno, sorridente e nel contempo severo del ragazzo di montagna. Più volte fu tentato di realizzare quel viso, ma con i vetri non si riusciva a raggiungere l’espressione del disegno: ora veniva troppo serio, ora troppo allegro, ora inespressivo.

Fu chiamata anche Giuseppina Melli che dipingeva, per un consulto, però non si riusciva mai a dargli il viso voluto.

La soluzione la suggerì la lettura del “Piccolo Principe” di A. De Saint Exupéry laddove il Piccolo Principe chiede un disegno di una pecora da portare sul suo asteroide per mangiare i germogli di baobab, ma la pecora disegnata una volta era malata, una volta era un ariete fino a quando l’autore del disegno si spazientì e disegnò una cassa dicendo: “la pecora che vuoi è là dentro”. Il Piccolo Principe guardò dai buchi nella cassa e il suo viso si illuminò ” è proprio la pecora che cercavo, guarda, sta dormendo”.

Era la soluzione del problema. Don Lorenzo ridisegnò le braccia coprendo il viso col libro dicendo: ” il viso che cerchiamo è là dietro”.

La vetrata una volta montata e illuminata da dietro con luce artificiale diventò uno dei pezzi più belli della chiesa.

Quando il mosaico fu acceso la prima volta c’era anche il prof. Ammannati; don Lorenzo disse: “lo chiameremo santo scolaro” e rivolto al professore in modo scherzoso “e lei non lo racconti a nessuno perché solo il Papa può fare i Santi; se lo viene a sapere mi scomunica”.