venerdì, Aprile 19, 2024
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Lettera ad una professoressa

Scuola di Barbiana
Lettera a una professoressa
Libreria Editrice Fiorentina

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Scuola di Barbiana
Edizione speciale “40 anni dopo”
A cura della Fondazione Don Lorenzo Milani

Com’è nata Lettera ad una professoressa

Di Sandra Gesualdi

Due ragazzi di Barbiana volevano dedicarsi all’insegnamento, per questo, dopo la licenza media, svolsero presso la scuola di Barbiana il programma del primo anno delle magistrali e a giugno scesero a Firenze per sostenere l’esame come privatisti. Furono entrambi respinti in modo umiliante.

Per la scuola di Barbiana fu un duro colpo. In 10 anni di vita mai i suoi ragazzi erano stati umiliati in modo così forte, eppure ogni anno si presentavano alla scuola di Stato per sostenere gli esami da privatisti per le medie e li superavano tutti brillantemente. Alcuni di questi ragazzi erano stati preparati proprio da quei due respinti.

Lo stato d’animo di don Lorenzo e dei suoi ragazzi, di fronte alla bocciatura, traspare bene da questa lettera che scrisse subito dopo ad un professore di un Istituto Magistrale del Piemonte, che aveva espresso la sua solidarietà a seguito del processo subito dal priore per aver difeso gli obiettori di coscienza.

Barbiana 7 dicembre 1965
Caro professore,
mi accorgo che lei è preside alle magistrali. La nostra tragedia, perchè l’istruzione che do io è disprezzata alle magistrali (e noi la ricambiamo con altrettanto disprezzo), ma diversi miei ragazzi vogliono dedicarsi all’insegnamento. Son corso a cercare le sue lettere precedenti ed ho visto che c’è una mezza promessa di venirci a trovare. La mantenga la prego. Basta che ci faccia un telegramma e le mandiamo una macchina a Firenze se preferisce o alla stazione di Vicchio. Vorrei che lei passasse qui una giornata intera o più giorni. Il difetto non è nostro, ma vostro perchè qui si imparano tutte cose importanti per essere domani maestri ed i ragazzi che escono di qui per fare i sindacalisti trionfano nell’ambiente. Quelli che vanno a lavorare all’estero in officina o anche in Italia si impegnano. Quelli che vanno alle magistrali vengono umiliati come ragazzini mentre vivono da anni (fin da piccoli) da adulti e adulti severi. Io vorrei che fossero interrogati da professori capaci di mettere in luce i loro valori e chiudere due occhi sulle anticaglie che ignorano. Poi vorrei che fossero interrogati da professori che onorano la maturità, la vocazione all’insegnamento, l’austerità di vita, l’analfabetismo dei genitori, la montagna con i suoi secoli di oppressione e di sofferenza, lo scrivere scarno e senza fantasie, la preparazione sindacale e politica, il coraggio di andare all’estero a 13,14,15 anni a lavorare e stringere la cinghia per conoscere a fondo lingue e mondi diversi.

Insomma io vorrei dei professori che accogliessero i miei ragazzi con riverenza e invece ho trovato solo pozzi di chiusura al mondo esterno. Forse lei non ci può fare nulla, ma venga almeno a parlarci di questo problema.

Un saluto affettuoso da me e dai ragazzi
suo Lorenzo Milani

Ancora non si parla della risposta pubblica della scuola di Barbiana, però già si avverte il padre, l’educatore, l’uomo di scuola ferito che sta meditando come reagire.

L’anno successivo i due ragazzi si ripresentarono a Firenze agli esami e vennero respinti nuovamente.

Don Lorenzo, riscrivendo allo stesso professore dice: “ai ragazzi di cui le parlai, sono stati duramente bocciati anche quest’anno (…).

Nel frattempo stiamo lavorando già da tre mesi alla vendetta. Penso che tra un paio di mesi sarà pronta. E’ una lettera aperta a una professoressa bocciatrice. I ragazzi ci lavorano con una passione particolare”.

Ma la prima volta che don Lorenzo accenna alla stesura della Lettera a una professoressa, è scrivendo il 14 luglio 1966 ad alcuni suoi ragazzi che si trovavano all’estero durante l’estate, per perfezionarsi nella lingua studiata. Quando i ragazzi erano fuori, tutti i giorni dovevano scrivere a Barbiana per raccontare le loro esperienze e tutti i giorni don Lorenzo rispondeva dando consigli, incoraggiando, guidando il ragazzo e informandolo sullo svolgimento della vita barbianese. Da questa corrispondenza emerge uno spaccato molto vivace della vita della comunità di Barbiana e poiché in questo periodo la stesura di Lettera a una professoressa assorbiva gran parte delle attività della scuola, quasi in ogni lettera don Lorenzo ne parlava.

Scriveva il 14 luglio: “Stiamo lavorando a una grande lettera come quella ai giudici. Questa è contro le professoresse. Enrico è lanciato e appassionato a scriverla”.

E ancora, alcuni giorni dopo, il 18 luglio 1966: “La grande lettera è, se ancora non lo sai una lettera a una professoressa che bocciò il Biondo e Enrico lo scorso anno. Viene un’opera grandiosa. Forse un libretto”.

In effetti, inizialmente don Lorenzo e i ragazzi pensavano di scrivere una lettera a una professoressa in carne ed ossa che più si era accanita contro quei due ragazzi, che aveva definito: “Senza basi e assolutamente impreparati”. Solo cammin facendo, via via che si approfondiscono gli argomenti la lettera cresce, dalla protesta si passa all’accusa e dall’accusa di passa alla proposta. Sull’avanzamento dei lavori don Lorenzo continua a informare i suoi ragazzi fuori Barbiana, il 3 agosto scrive: “… Non ti possiamo mandare nulla della nostra grande lettera. Ti anticipo solo una frase molto espressiva: – La scuola sarà sempre meglio della merda – la dice un ragazzo per esprimere che prima di venire a scuola qui, doveva sconcimare la stalla a 36 mucche” e continua il 20 settembre 1966, in una lettera a Gosto che si trovava a Milano a fare tirocinio sindacale “Stiamo lavorando ad una importante lettera aperta alla professoressa che bocciò il Biondo e Enrico l’anno scorso. Le bocciature di quest’anno mi hanno rinfocolato la rabbia e penso che verrà fuori un capolavoro.

Del resto la – Lettera a una professoressa – sarà un canto di fede nella scuola e il manifesto del sindacato dei genitori di cui te e Michele sarete un giorno l’anima”.

Alla fine del 1966 il libro ha già preso forma e don Lorenzo comincia a sottoporre il lavoro ad amici per avere consigli e suggerimenti e soprattutto per verificare se il testo era chiaro e comprensibile per tutti.

Il 30 ottobre 1966 scrive ancora: “Ieri sera è venuta la Fioretta, invitata da me per darci qualche notizia sulla scuola e per leggere un po’ della – lettera – Alla fine gli s’è prestata una delle quattro copie che abbiamo perchè la leggesse oggi a un gruppo di operai genitori di bocciati e ci riferisca cosa capiscono e cosa no. Domani la rimanda indietro”.

Poi invitò su don Borghi a leggere lo scritto e dare il suo parere. Don Lorenzo stimava molto don Borghi e lo riteneva il prete fiorentino che meglio conosceva la realtà degli operai e degli emarginati. Lui stesso era figlio di un barrocciaio.

La discussione si protrasse per molte ore, don Borghi sosteneva che il mondo sbagliato si cambia con la lotta degli operai nelle fabbriche e non poteva esaurirsi col solo impegno di vita nella scuola. Per lui, nella Lettera, era completamente assente l’importanza della formazione sociale, della fabbrica e della lotta di classe che lì si conduceva.

Quella discussione trova riferimento nel testo finale della lettera. Poi salirono a Barbiana anche padre Turoldo e tanti altri. “Oggi è venuto padre Turoldo con due preti – scriverà sempre ai ragazzi – si sganasciavano dalle risa a ogni parola grossa della lettera. E’ molto simpatico e dice che ha ritrovato nella lettera tutta la sua gioventù di montanaro”.

La documentazione statistica della lettera era affidata a Giancarlo, un ragazzo di 15 anni, che a Barbiana era soprannominato Tranquillo per via di quel suo carattere calmo, riflessivo e bonario.

Ogni tanto venivano su due professori di statistica per consigli; uno di loro così racconta uno di questi incontri “Andai su spesso con due miei amici assistenti di statistica presso l’Università di Firenze, chiamati da don Lorenzo, il quale voleva che lo studio nei riguardi della scuola dell’obbligo fosse svolto nel modo più rigoroso e non potesse essere minimamente attaccato in quella parte di documentazione statistica che era la base da cui il discorso veniva sviluppato”.

Era proprio in questi momenti, in cui anche uno spicchio di arancio tenuto in bocca gli procurava una notevole sofferenza, che don Lorenzo discuteva sull’indice statistico da usare per meglio evidenziare un determinato fenomeno, o sulla rappresentanza grafica che risultasse più chiara agli occhi di coloro che non hanno mai visto un diagramma.

Dal letto dirigeva il lavoro dei suoi ragazzi cercando di cogliere da qualsiasi discorso fatto in sua presenza elementi utili da inserire nella lettera.

Un giorno in cui eravamo da lui, il discorso cadde sulle imposte ed in particolare su quelle di consumo. La loro grande diffusione dipende dal fatto che non ci si accorge di pagarle, come invece avviene quando ci rechiamo all’Esattoria con la relativa cartella e, pertanto dissi, sono state definite “indolori” dagli studiosi di scienza della finanza.

Quella frase lo colpì, prese un appunto e la volta successiva che tornai a trovarlo, nel testo di Lettera trovai inserito il riferimento alla nostra discussione.(1)

Don Lorenzo invece descriverà uno di quegli incontri così: “Domenica son tornati i due professori di statistica (non so se vi avevo detto che li avevo cercati tempo fa per consiglio). E’ la terza volta che vengono. Si son messi al tavolo di fronte a me con Giancarlo e Giancarlo ha esposto le nostre ultime difficoltà. Io me ne sono stato tutta la sera in panciolle a godermi lo spettacolo. Ad un dato punto ho scritto un biglietto all’Adele – Venga a godersi lo spettacolo di Tranquillo che si mangia gli statistici come panini – Allora è venuta in camera anche l’Adele, Carlo e la Carla, e dopo due minuti son dovuti andare via dal ridere che gli si era preso. Tranquillo, tranquillissimo stava facendo lezione con un tono umile, sereno senza accorgersi che lo guardavamo e quei due poveri professori universitari si sprofondavano in scuse: – ma noi stiamo facendo perdere tempo. Non riusciamo ad esservi di nessun aiuto. Non potrebbe essere che le cose stiano così e così? – e lui tranquillissimo gli faceva notare che era l’ennesima corbelleria che dicevano. Quattro mesi fa Giancarlo era timido e piagnucolone e si considerava un uomo inferiore e sconfitto. Non m’importava nulla dei conti se non tornavano mi divertivo troppo per lui. Poi il giorno dopo ha ripreso in mano la situazione lui e ha risolto tutto il problema”.

Questa lettera, come tutte le altre lettere dove don Lorenzo parla dell’impegno dei suoi ragazzi, emana un amore che spinge a vedere le cose attraverso i suoi figliuoli con la misura dei progressi fatti dopo le umiliazioni e le sconfitte subite e dimostra una paternità che va oltre il maestro. E’ in questa ottica che deve essere letto Lettera a una professoressa.

Erano giorni in cui il priore stava particolarmente male, faceva scuola dal letto e passava quasi tutta la notte sveglio per i grandi dolori a tutto il corpo.

Allora si sedeva sul letto con dietro tre guanciali e scriveva per molte ore. La mattina con i pochi ragazzi rimasti correggeva, semplificava, riordinava.

(1) Da Testimonianze n. 100

In un’altra delle tante lettere scritte in questo periodo dice: “Nel silenzio di questa casa, quasi vuota lavoriamo molto alla lettera. Ieri l’ha letta l’Ammannati ed era d’accordo in tutto. A voi ancora non s’è potuta mandare perchè le quattro copie si adoperano ogni mattina nel lavoro che facciamo insieme e sono appena sufficienti, (una per me qui a letto e tre sul tavolo di fronte a me dove siedono il Biondo, Enrico, la Carla, l’Olga, Tranquillo e Cencio)”.

Don Lorenzo parla della Lettera anche all’avvocato Gatti, che lo stava difendendo dall’incriminazione per la Lettera ai cappellani militari: “Stiamo lavorando da tre mesi a inguaiarci di nuovo: un grande lavoro molto più sentito per noi e molto più lavorato che non la lettera ai giudici. Questa è una lettera a una professoressa (che aveva la vocazione a fare il giudice e il boia come gran parte delle colleghe) che bocciò due miei ragazzi l’anno scorso. Penso che per gennaio sia pronta”.

A gennaio il lavoro invece era solo a metà. Farà il punto in una lettera del 15 gennaio 1966 sempre ai suoi ragazzi all’estero: “Giancarlo seguita un nuovo lavoro statistico (confronto vecchia e nuova media), la Carla batte a macchina, l’Olga fa un interminabile lavoro statistico sull’età dei bocciati, (ci sono arrivati dati da varie scuole). Edoardo e Guido si son presi una parte per uno e hanno fatto l’elenco completo delle offese alle professoresse. Domani su questo elenco si vedrà se abbiamo esagerato o se sono tutte giustificate. Il Biondo ha le pagine (un capitolo delle medie) che sta buttando all’aria, Mauro sta segnando di due colori tutta l’ultima parte delle medie per distinguere negativo e positivo, cioè rimproveri e proposte. Da più parti ci hanno detto che l’ultima parte delle medie è un po’ pesante. Michele sta leggendo le sue lettere da Stoccarda. Aldo ha passato le sere a fare un disegno a china. Cencio a leggerla per trovare parole difficili. La Andre anche lei a contare metodicamente centinaia di bocciati. E io a pancia all’aria a fare nulla”.

L’elenco delle offese, insieme al testo furono mandate all’avv. Gatti per un parere, il quale fece diverse osservazioni, però furono accolti solo i consigli di chiarezza, mentre furono respinti quelli di prudenza a scapito della chiarezza.

Un giorno venne su Mauro, un ragazzo che aveva lasciato la scuola di Barbiana per tornare a Vicchio a lavorare, per leggere la lettera. “Ho scritto a Mauro – riferirà don Lorenzo nel novembre del 1966 – perchè venisse a leggere la lettera. Stamani finalmente è venuto. Se l’è letta tutta leccandosi i baffi come un goloso a mangiare qualcosa di buono. Se avrò lettori attenti come lui la lettera avrà un gran successo. Il suo commento è stato: non l’ha scritta mica per i professori, l’ha scritta per noi.

Mauro aveva 14 anni, svagato, allergico alla lettura. Era stato bocciato più volte a Vicchio in prima media, quando il padre lo portò a Barbiana. “Fu messo in seconda, la classe giusta per la sua età. E’ stata la prima soddisfazione scolastica della sua povera vita. Se ne ricorderà un giorno sì e uno no“, si dirà di lui in Lettera a una professoressa.

Infatti, Mauro con la sua storia scolastica è il Gianni del libro. Lo menziona lo stesso don Lorenzo in una lettera del 6 gennaio 1967 ai soliti ragazzi all’estero: “Ieri è tornato Mauro per leggere la parte della lettera che ancora non conosceva e per decidere se vuole che cambiamo il nome Mauro o no. In complesso s’è visto che gli piace l’idea di diventare personaggio di fama mondiale e per questo scopo passa sopra anche all’eventuale figuraccia che ci fa”.

Poi invece il nome fu cambiato con Gianni.

Se il Gianni di Lettera a una professoressa è un ragazzo con una precisa fisionomia e una reale storia scolastica e umana alle spalle, lo stesso si può dire di “Pierino del dottore”.

Quel Pierino sa tanto di autobiografico. Se sostituiamo Pierino del dottore con Lorenzino del dottore, viene fuori la storia del futuro priore di Barbiana. C’è un passaggio in Lettera a una professoressa che lo scolpisce senza possibilità di equivoci: “Povero Pierino mi fai quasi compassione, il privilegio lo hai pagato caro. Deformato dalla specializzazione, dai libri, dal contatto con gente tutta eguale. Perchè non vieni via? Lascia l’Università, le cariche, i partiti, mettiti soltanto a insegnare lingua solo e null’altro. Fai strada ai poveri senza farti strada. Smetti di leggere, sparisci. È l’ultima missione della tua classe”.

È esattamente quello che aveva fatto Lorenzino del dottore.

Aveva lasciato la sua razza colta e borghese per abbracciare i poveri attraverso il sacerdozio testimoniando il Vangelo con la scuola. Una scuola iniziata a Barbiana con sei piccoli montanari. Là, su quella montagna vive dal di dentro i meccanismi che imprigionavano quei contadini e, come loro, tutti gli infelici del mondo in condizioni di inferiorità. Di fronte all’ingiustizia sociale che subiva la sua gente vibra di fede e di dolore e apre ai poveri lo scrigno dei segreti più gelosi custoditi dalla casta da cui proveniva: la cultura, il sapere, l’imparare a dominare la parola. Ed in questo impegna tutto il suo sacerdozio. Un impegno così forte ed esclusivo che diventa amore per la causa degli ultimi che si incarnavano nella gente che Dio gli aveva affidato. Un amore così intenso che gradualmente lo trasforma in uno di loro: vedeva le cose con lo stesso occhio del povero, pensava come loro, parlava scarno come loro. Da ultimo era proprio cambiato, cambiato dal di dentro e si era spogliato di tutto persino della firma di “Lettera a una professoressa” per non morire signore, cioè autore di libri.

Quando il libro stava per essere finito, don Lorenzo parlò con l’architetto Michelucci, noto a Firenze per aver progettato la stazione centrale e la chiesa dell’autostrada, per chiedergli di scrivere la prefazione. Don Lorenzo stimava Michelucci e lo riteneva, come lui, un cultore dell’arte anonima e del lavoro d’équipe. “Quando ho spiegato a Michelucci – scriverà ancora ai ragazzi – cosa dire è rimasto entusiasta. Come si costruisce un libro confrontando il nostro metodo di scrivere con uno studio di architetto: così avrà modo di spiegare in che senso sono l’autore e in che senso no“.

Michelucci, sia pure tra qualche incertezza, accolse l’invito e scrisse una bozza di prefazione. Però fu giudicata dai barbianesi troppo difficile nel linguaggio per il libro. Tentarono di semplificare il testo secondo il loro stile, ma non se la sentirono di proporlo all’architetto e preferirono rinunciare alla prefazione.

La lettera fu consegnata alle stampe nel maggio 1967. Don Lorenzo moriva un mese dopo.

Quindi non ha goduto tutto il baccano che il libro ha sollevato. E di baccano ne ha sollevato e tanto. Con le sue novità, con le sue accuse, coi suoi argomenti stringenti, precisi, documentati, con le sue proposte e il suo linguaggio semplice ha saputo dire a tutti verità che molti intuivano, ma che pochi riuscivano ad esprimere.

In questi 40 anni non vi è stato convegno scolastico dove la “Lettera” non abbia fatto sentire la sua presenza. La stessa contestazione studentesca del 1968 ne portava il segno.

Gli anni successivi all’uscita del libro videro, nel bilancio dello Stato, la spesa per la Pubblica Istruzione crescere notevolmente. La partecipazione dei ragazzi alla frequenza della scuola dell’obbligo è facilitata. I Comuni istituiscono il servizio trasporti per gli alunni. Viene sperimentato un po’ ovunque la scuola a tempo pieno. I Decreti Delegati aprono la scuola alla partecipazione dei genitori. Le bocciature tendono a ridursi notevolmente. Si apre una grande discussione sulle riforme proposte dal libro, soprattutto sul non bocciare nella scuola dell’obbligo.

Talvolta il problema è impostato in modo estraneo allo spirito della “Lettera”, la quale afferma che la scuola dell’obbligo deve essere formativa e non selettiva, che il ragazzo ha diritto a 8 anni di scuola, non come frequenza, ma come compimento di un programma, che quando esistono disuguaglianze culturali tra ragazzi di provenienze sociali diverse tocca alla scuola sanarle e non scacciare prima del tempo il ragazzo in difficoltà nei campi e nelle fabbriche.

Però le disuguaglianze non si sanano, ma restano invariate se si sostituisce la selezione fatta con le bocciature con la selezione fatta di scuola peggiore, non esigente, povera di contenuti che non stimoli l’interesse dei ragazzi, che non li appassioni e non li renda liberi e protagonisti del loro futuro attraverso il sapere, il saper dire e lo scegliere.

In altri termini una scuola parcheggio che espone il ragazzo, che non ha alle spalle una famiglia capace di supplire alle carenze della scuola stessa, ad essere ferocemente selezionato al primo impatto con la vita.

Barbiana, ossia l’esperienza viva di Lettera a una professoressa, era un’altra cosa. Era studio duro 10 ore al giorno per tutti i giorni, compreso la domenica, le feste e l’estate. Era una scuola esigente, dagli interessi vasti, dove si approfondiva tutto a lungo e dove si indicava al ragazzo un obiettivo alto: studiare per uscire insieme dai problemi.

Dal maggio 1967 sono passati 40 anni e ci si domanda che cosa è rimasto, nella scuola, dei valori portanti di Lettera a una professoressa.

Questa edizione straordinaria, realizzata in occasione del suo 40mo anniversario, tenterà di dare una risposta. Lo farà attraverso la riproposizione di articoli di giornali, la pubblicazione di lettere di ragazzi, genitori e insegnanti giunte in questi anni a Barbiana da ogni parte d’Italia, di contributi di chi all’epoca si batteva per una scuola diversa e di personaggi della scuola di oggi.

Il volume sarà chiuso da Lamberto Pillonetto Preside del Liceo Primo Levi di Montebelluna, che esamina l’incidenza di Lettera a una professoressa sulla scuola in questi 40 anni e dall’intervento che il Ministro dell’Istruzione On. Giuseppe Fioroni tenne dopo la sua nomina, proprio a Barbiana, il 21 giugno 2006 in occasione della V marcia Per la scuola di tutti e di ciascuno”.

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